A rischio d’estinzione: le popolazioni incontattate dell’Amazzonia
La foresta amazzonica, immenso polmone verde, grande due volte l’Irlanda, sovrapposto al confine tra Brasile e Perù, ospita un numero imprecisato di popolazioni indigene che vivono e prosperano “a riparo” dalla pressante antropizzazione globale: sono gli Isconahua, i Matsigenka, i Matsés, i Mashco-Piro, i Mastanahua, i Murunahua (o Chitonahua), i Nanti, i Sapanawa e i Nahua — e molti altri dal nome sconosciuto. Di loro non si sa molto. Ma sappiamo che rifiutano il contatto, spesso a seguito di violenze terribili e malattie portate dall’esterno. Alcuni hanno scelto l’isolamento dopo essere sopravvissuti al boom della gomma, durante il quale migliaia di indigeni furono ridotti in schiavitù e assassinati. Molti sono fuggiti nelle aree più remote dell’Amazzonia e da allora evitano il contatto prolungato con altri. Quando i membri di una tribù avviano un contatto, o la presenza degli esterni li costringe a subirlo, il governo del Paese ha l’obbligo di intervenire velocemente e con decisione per ridurre l’alto rischio di perdite umane. Squadre di medici esperti devono recarsi nell’area immediatamente e rimanervi a lungo. È necessario prestare attenzione a non incoraggiare i popoli indigeni a diventare dipendenti.
I confini dei territori dei popoli incontattati devono essere sorvegliati per impedire incursioni di persone non autorizzate. Queste devono essere tenute lontane anche nel caso in cui gli indigeni abbiano lasciato volontariamente la propria terra. Il contatto non deve essere avviato da nessun altro se non dalla tribù interessata, poiché quasi tutti i contatti portano alla perdita di vite umane. Nelle rare occasioni in cui sono stati avvistati o in cui qualcuno li ha incontrati, hanno reso esplicito il loro desiderio di essere lasciati soli. A volte reagiscono in modo aggressivo, per difendere il loro territorio, oppure lasciano segnali nella foresta per mettere in guardia gli esterni e suggerirgli di stare alla larga.
Questa è la cosiddetta Frontiera incontattata, un ecosistema in grave pericolo: l’antropologa ed esperta di tribù isolate Beatriz Huertas afferma che il disboscamento illegale e le concessioni legali di legname sono la minaccia principale, ma è aumentata anche la presenza di narcotrafficanti che usano i fiumi per contrabbandare droga. Inoltre, le piantagioni di coca stanno crescendo nell’adiacente regione di Ucayali e portano violenza e morte, oltre ad accendere conflitti interni alle comunità indigene vicine. A questi fattori già di per sé critici si sommano le forti pressioni del presidente brasiliano Bolsonaro per sfruttare le risorse della regione amazzonica, ledendo uno dei principali baluardi contro il cambiamento climatico. Nonostante il Brasile si sia sempre impegnato nella difesa della valle del Javari, uno dei più grandi territori indigeni del Brasile, Bolsonaro ha progressivamente indebolito la Fundação Nacional do Índio (FUNAI), ovvero l’organizzazione governativa responsabile della protezione dei popoli indigeni e delle loro terre, aprendo le porte ad uno sfruttamento incontrollato e illegale. Basti pensare all’apertura di una vera e propria ferita nel cuore amazzonico con la costruzione da parte del governo brasiliano di una strada che collega Cruzeiro do Sul in Brasile a Pucallpa in Perù, con il solo obiettivo di aumentare le esportazioni di soia verso la Cina. Questo ecocidio incontra la ferma opposizione di organizzazioni nazionali ed internazionali: l’ORPIO (Organización de Pueblos Indígenas del Oriente, Organizzazione dei popoli indigeni dell’Amazzonia orientale del Perù), esige un’azione congiunta da parte dei governi di entrambi i Paesi per proteggere la regione, abbandonare i piani per una strada transfrontaliera che colleghi l’Atlantico al Pacifico, far rispettare le leggi ambientali e reprimere le attività criminali.
Beto Marubo, rappresentante degli indigeni della valle del Javari ed ex funzionario del FUNAI, ha dichiarato che è quanto mai necessario creare un sistema di cooperazione internazionale per fermare l’avanzata di «minatori illegali, taglialegna, cacciatori e missionari cristiani». Ma non è ottimista. «Il Brasile ha un governo che non ha mostrato alcuna sensibilità verso l’ambiente e tanto meno verso le questioni indigene. Credo che succederà ben poco».
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