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COP28: neocolonialismo e razzismo climatico
Quando puntiamo un dito contro qualcuno ce ne sono tre che puntano verso di noi
Nel labirinto della crisi climatica, le comunità indigene emergono come figure chiave, custodi di saggezza ancestrale e di biodiversità, eppure rimangono sottorappresentate e marginalizzate. La COP28 ha tentato di dare spazio a queste comunità, ma l’ombra del “razzismo climatico” ha reso evidente che il riconoscimento formale è lontano dall’essere sufficiente per una vera giustizia climatica.
Il concetto di razzismo climatico, come illustrato da esperti ambientali come Mark Watts (Executive Director of C40 Cities) e Vanessa Pallucchi (Vicepresidente nazionale di Legambiente), evidenzia l’intricata connessione tra la crisi climatica e le disuguaglianze razziali, sociali ed economiche. Queste disuguaglianze si manifestano in modo più acuto nelle comunità indigene, che, nonostante la minima contribuzione all’inquinamento globale, sono tra le più colpite dagli effetti devastanti del cambiamento climatico.
Le voci dei popoli indigeni e delle comunità locali hanno risuonato nei corridoi della COP28, nelle sessioni di apertura, in numerosi panel e eventi collaterali. Eppure il vertice di Dubai, sebbene nella terza giornata tematica abbia riconosciuto l’importanza di queste comunità, ha lasciato irrisolte molte sfide.