Cos’è l’eco-gender gap?
Eco-gender gap è un termine apparso di recente e utilizzato per descrivere la differenza di consapevolezza ambientale e di comportamento ecologico tra uomini e donne. Gli uomini, infatti, sembrerebbero essere meno sensibili ai temi ambientali rispetto alle donne. Ma da cosa scaturisce questa differenza di comportamento e come mai persiste?
Se nel passato, l’impegno femminile verso la preservazione dell’ambiente veniva principalmente ricondotto ad una tendenza delle donne ad essere prosociali, altruiste ed empatiche, a mostrare un’etica di cura più forte e ad assumere una prospettiva orientata al futuro, ossia, in altre parole, a differenze di personalità o di condizionamento sociale, oggi molti altri fattori entrano in gioco.
Da un lato le donne sono le principali vittime di catastrofi naturali. Hanno infatti maggiori probabilità di essere colpite dal cambiamento climatico e dai danni ambientali, come dimostra l’impatto sulle popolazioni di eventi meteorologici estremi. È questo, ad esempio, il caso delle catastrofiche inondazioni del Bangladesh del 1991, dove il 90% delle 140.000 vittime furono donne, o lo tsunami dell’Oceano Indiano del 2004, che ebbe tra le donne il 70% delle vittime.
Vi è poi da considerare come femminismo e ambientalismo siano stati spesso movimenti strettamente legati. È quanto, ad esempio, è avvenuto a partire dagli anni Ottanta, durante la seconda ondata del femminismo, quando il degrado ambientale e l’oppressione delle donne sono stati visti come fenomeni caratterizzati da una certa contiguità.
Vi è inoltre da segnalare una dimensione legata al green marketing: i prodotti ecologici sono spesso più presenti in ambiti in cui, pur se per effetto di stereotipi di genere, le donne sono generalmente considerate più coinvolte, come la pulizia, il cibo, la salute della famiglia. È quanto evidenziato ad esempio da The Guardian in un’inchiesta della giornalista Elle Hunt, la quale descrive come la gran parte dei prodotti ecologici abbiano come principale target le consumatrici. Questo sta creando un circuito che si autoalimenta e che vede i prodotti e i marchi ecologici sempre più mirati alle donne. Un effetto perverso di ciò è che, ad esempio, uno tra i brand a maggiore impatto ambientale ha sviluppato una campagna pubblicitaria “al maschile” come quella di McDonald’s del 2012 in Cina, che recita “100% uomo virile, 100% puro manzo”.
Vi è infine, per converso, ma in continuità con quanto detto sopra, da registrare il rapporto inverso percepito tra mascolinità e ambientalismo: come sottolineato da alcune ricerche e articoli, tra cui, per fare alcuni esempi, un articolo apparso su Sex Roles nel 2019, uno pubblicato dal Journal of Consumer Research nel 2016 e uno studio di Global Environmental Change del 2018, gli uomini sarebbero demotivati nell’adottare comportamenti ecologici e nel compiere scelte di consumo sostenibili per il timore di vedere messa in discussione la loro stessa mascolinità.
Questo tipo di dinamiche, che si spera siano legate a concezioni e paradigmi del passato, gettano però un’ombra anche sul presente. Un ruolo chiave al fine di colmare tale gap è quello che possono giocare le giovani generazioni, che hanno in più occasioni dimostrato di sapersi allineare in maniera compatta e senza alcun divario di genere nella lotta per la giustizia climatica e provato come il gender gap si stia progressivamente riducendo almeno in alcuni ambiti e aree del mondo.
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Articolo Treccani: https://www.treccani.it/magazine/atlante/societa/Cosa_eco_gender_gap.html.