Geoingegneria: può essere la soluzione alla crisi climatica?

Stefano Cisternino
5 min readMar 15, 2022

Immaginate un futuro ormai non così lontano: alla fine del XXI secolo, l’umanità sta diventando sempre più disperata. Decenni di ondate di calore e siccità hanno portato a raccolti insolitamente scarsi, mentre oceani sempre più caldi producono sempre meno pesci. Nelle zone tropicali, milioni di persone soffrono la fame e le guerre per le poche risorse rimaste hanno fatto fuggire milioni di persone verso il Nord del pianeta. Mentre le cose peggiorano rapidamente, in un atto di disperazione, i governi del mondo decidono di attuare un piano di emergenza.

Non è certo che si verifichi uno scenario cupo come questo, anche se il fallimento nell’affrontare efficacemente il cambiamento climatico, lo rende tutt’altro che impossibile. Pertanto, nel prossimo futuro, potrebbe diventare necessario provare un’azione radicale per rallentare il rapido cambiamento climatico: la geoingegneria. Interventi su scala mondiale che potrebbero annullare secoli di disinteresse umano verso il proprio pianeta o rendere la situazione molto peggiore. Cos’è la geoingegneria? È davvero un’opzione, e cosa succederebbe se fallisse?

I metodi di geoingegneria variano da quelli più fantasiosi, come la costruzione di gigantesche vele luminose nello spazio , a quelli più audaci come la fertilizzazione degli oceani con il ferro per accelerare la crescita di trilioni di cellule di alghe.

In questo articolo sarà esaminato un intervento di geoingegneria che potremmo ipoteticamente vedere anche durante la nostra vita: l’iniezione di aerosol stratosferico, ovvero il rilascio di particelle di aerosol nella stratosfera. Queste particelle dovrebbero riflettere la luce solare facendo “rimbalzare” parte di essa nello spazio e ciò dovrebbe ridurre il riscaldamento della superficie terrestre.

Per quanto riguarda quest’ultima parte è bene comprendere che la CO2 non riscalda da sola il pianeta; quasi tutta l’energia proviene dal Sole sotto forma di radiazione elettromagnetica. Circa il 71% di questa energia viene assorbita dalla superficie terrestre e dall’atmosfera, mentre la restante parte viene emessa di nuovo come radiazione infrarossa. In questo caso, la CO2 è in grado di intrappolare questa radiazione infrarossa e mantenerla nell’atmosfera per un certo tempo.

Quindi, ipoteticamente, un modo per raffreddare il pianeta potrebbe essere quello di evitare che l’energia venga intrappolata sotto il nostro manto planetario. Un processo che sta già accadendo naturalmente; infatti circa il 29% della radiazione solare che colpisce la terra viene riflessa verso lo spazio da superfici luminose come ghiaccio, deserti, neve o nuvole. Più rifrazione, meno energia, meno riscaldamento.

A tal proposito, possiamo prendere la natura stessa come fonte d’ispirazione, esaminando l’eruzione del Monte Pinatubo del 1991, la seconda più grande eruzione vulcanica del XX secolo. A parte la devastazione causata e le centinaia di morti, gli scienziati hanno notato il suo forte impatto sul clima globale. L’esplosione ha espulso milioni di tonnellate di particelle e gas fino alla stratosfera, portando alla formazione di uno strato particellare rimasto nelle fasce alte dell’atmosfera per anni.

Ciò che risulta interessante per la geoingegneria è l’anidride solforosa. Nella stratosfera, quest’ultima aveva prodotto una foschia di goccioline di acido solforico, che si mescolavano con l’acqua e creavano veli giganti. Tali veli riducevano l’impatto dei raggi solari, permettendo il passaggio di meno dell’1%. In questo modo, le temperature medie globali diminuirono di 0,5 °C. Ci vollero tre anni prima che questo effetto di raffreddamento si fermasse. Quindi, gli esseri umani potrebbero imitare tale processo iniettando particelle di zolfo o anidride solforosa direttamente nella stratosfera. Secondo alcuni scienziati, l’intero processo potrebbe essere sorprendentemente facile da attuare e senza la necessità di nuove tecnologie per metterlo in pratica. Una piccola flotta di aerei specializzati potrebbe salire una volta all’anno e distribuire particelle d’aerosol lungo l’equatore, da dove verrebbero diffuse in tutto il mondo. Le proiezioni ipotizzano che iniettare tra i cinque e gli otto megatoni di materiale all’anno rifletterebbe abbastanza luce solare da rallentare o addirittura fermare il riscaldamento globale, dandoci tempo prezioso per la transizione dai combustibili fossili. Sfortunatamente, potrebbero esserci alcuni infelici effetti collaterali.

Ci sono una serie di potenziali problemi con le iniezioni di aerosol: i ritmi pluviometrici potrebbero cambiare, il che potrebbe influenzare negativamente l’agricoltura e causare carestie. Inoltre, è bene evidenziare che dopo l’eruzione del Monte Pinatubo del 1991, i veli di acido/acqua non solo hanno raffreddato la superficie, ma hanno anche riscaldato la stratosfera. Come si è scoperto successivamente, l’acido ha danneggiato ulteriormente lo strato di ozono, portando ad un allargamento senza precedenti del buco dell’ozono sopra l’Antartide. Iniettare particelle di zolfo per decenni potrebbe avere un effetto simile.

Gli scienziati hanno già suggerito di usare una combinazione di diversi minerali che potrebbero avere effetti molto meno dannosi per lo strato di ozono, ma bisogna fare più ricerche ed esperimenti per essere sicuri che questo possa funzionare. Ma anche nel caso in cui non danneggiassimo lo strato di ozono, ci sono altri rischi: leader politici e settori industriali potrebbero usare l’effetto di raffreddamento come scusa per ritardare il passaggio a un’economia a zero emissioni di carbonio.

Inoltre, se anche la geoingegneria riuscisse a rallentare il riscaldamento globale, è bene considerare che l’umanità ‒ attraverso i suoi ritmi sfrenati di produzione e consumo ‒ continuerebbe comunque ad aggiungere ulteriore CO2 all’atmosfera. La presenza di sempre più CO2 nell’aria comporta una rapida e continua acidificazione degli oceani, i quali, assorbendo quantità sempre più grandi di CO2 stanno diventando mortali per enormi ecosistemi come le barriere coralline.

Ma non è tutto: una volta cominciato a pompare particelle nell’atmosfera su larga scala, potremmo essere costretti a farlo per molto tempo, per evitare il rischio di un “Termination shock”, uno shock derivante dall’interruzione del raffreddamento artificiale. In altre parole, se l’umanità continuasse ad “arricchire” l’atmosfera di CO2, ma allo stesso tempo impedisse al pianeta di riscaldarsi bloccando le radiazioni solari, creerebbe le basi per una catastrofe su scala mondiale. Nel momento in cui si smettesse di fare geoingegneria, il ciclo naturale riprenderebbe il sopravvento e la terra si riscalderebbe. Ma dopo alcuni decenni la compresenza dei due processi di mantenimento del pianeta artificialmente freddo e di produzione di grandi quantità di CO2 porterebbe il pianeta a riscaldarsi molto più rapidamente. Un aumento di temperatura che oggi richiederebbe 50 anni, potrebbe avvenire in soli 10 anni. Un tale shock termico in un tempo così breve sconvolgerebbe tutti i principali sistemi della Terra, tanto che sarebbe impossibile adattarsi in tempo. Lo scenario peggiore potrebbe essere quello di drammatiche carestie e rapida distruzione degli ecosistemi. L’umanità potrebbe sopravvivere, ma i sopravvissuti abiterebbero un mondo sconosciuto e ostile. Lo scenario migliore prevede che una volta che il mondo avrà finalmente compreso appieno il pericolo esistenziale del rapido cambiamento climatico, la geoingegneria potrà permetterci di guadagnare un decennio o due: il tempo di avviare e consolidare realmente la transizione ecologica su scala mondiale e magari implementare tecnologie che permettano di estrarre la CO2 dall’atmosfera.

Dal quadro tracciato la geoingegneria risulta essere un che di spaventoso. Non è una soluzione al cambiamento climatico e potrebbe anche essere una scusa gradita alle industrie per ritardare la fine dell’era dei combustibili fossili. Negli ultimi decenni la geoingegneria è stata così controversa che ha impedito a molti scienziati di fare gli esperimenti necessari per capirla meglio. Ma opporsi in modo generico alla geoingegneria è a dir poco miope. Di certo, nonostante i dubbi e le incertezze derivanti da questa situazione, non è possibile più citare Alessandro Manzoni dicendo “ai posteri l’ardua sentenza” in quanto la triste verità è che stiamo già facendo un esperimento di geoingegneria: stiamo testando quanto velocemente cambia il mondo se aggiungiamo circa 40 miliardi di tonnellate di CO2 ogni anno.

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Articolo pubblicato su Treccani: https://www.treccani.it/magazine/atlante/societa/Geoingegneria.html.

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Stefano Cisternino
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Written by Stefano Cisternino

I am an environmental journalist and Junior Europroject Officer specialised in eco-education. I write about geopolitics and environmental issues

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