Le perdite dai gasdotti Nord Stream: un disastro climatico?

Stefano Cisternino
5 min readNov 13, 2022

Un numero crescente di funzionari internazionali ed esperti di sicurezza globale ritiene che la Russia abbia sabotato i propri gasdotti di gas naturale (Nord Stream 1 e 2 ) sotto il Mar Baltico, provocando il rilascio di circa 300.000 tonnellate di gas metano nell’atmosfera. Il gas è stato visto salire sulla superficie del mare lunedì 26 settembre 2022, a seguito di quelle che, secondo i sismologi, sono state due esplosioni che non sembrano essere state causate da forze naturali, come un terremoto o una frana sottomarina. Secondo alcune fonti, navi e sottomarini di supporto della Marina russa sono stati avvistati nelle vicinanze delle perdite dell’oleodotto, lunedì e martedì. Gli ambasciatori della NATO hanno rilasciato una dichiarazione ufficiale il giovedì seguente affermando che «tutte le informazioni attualmente disponibili indicano che si tratta del risultato di atti di sabotaggio deliberati, sconsiderati e irresponsabili», che «stanno causando rischi per la navigazione e danni ambientali sostanziali».

Si tratterebbe del più grande rilascio di questo gas serra mai avvenuto, con un impatto simile alle emissioni annuali di 1 milione di automobili. Il gas contenuto nelle tubature è fuoriuscito causando tre chiazze ribollenti nel Mar Baltico, una delle quali con una superficie di circa 1 chilometro. Poiché il metano è in grado di riscaldare il pianeta in un periodo di 20 anni 81 volte più dell’anidride carbonica, la rottura dei gasdotti Nord Stream può essere considerata un disastro climatico a tutti gli effetti, anche alla luce del fatto che non ci sono meccanismi di chiusura lungo le condutture e che quindi la fuoriuscita di gas si interromperà solo con l’esaurimento dell’intero contenuto presente. Lo scienziato Jeffrey Kargel, del Planetary Science Institute di Tucson, in un’intervista a Politico a definito la fuoriuscita come «davvero inquietante» e «un crimine ambientale se avvenuta intenzionalmente». È comunque bene evidenziare che queste perdite sono una frazione infinitesimale rispetto alle enormi quantità di metano cosiddetto “fuggitivo” che vengono emesse ogni giorno in tutto il mondo a causa di attività come il fracking, l’estrazione del carbone e del petrolio. Secondo l’Edinburgh Climate Change Institute, inoltre, non si prevedono effetti a lungo termine sulla fauna e sulla flora marine.

L’incidente del Nord Stream rivela ancora una volta la stretta correlazione tra conflitti e danni ambientali. I funzionari delle Nazioni Unite hanno già evidenziato queste preoccupazioni lo scorso anno, durante la Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici del 2021 (COP26) in Scozia. Sebbene il riscaldamento globale di per sé non sia sempre una causa diretta di conflitto, hanno affermato che spesso può agire come «moltiplicatore di rischi», aggravando gli oneri finanziari per le comunità e i governi che si trovano ad affrontare condizioni meteorologiche estreme, provocando sfollamenti e minando i diritti umani nelle regioni in cui i frequenti disastri stanno contribuendo a un’impennata dei processi migratori, lasciando le donne particolarmente vulnerabili in situazioni in cui le leggi della società e le reti di sicurezza sociale stanno progressivamente venendo meno.

A tal riguardo, uno studio pubblicato a marzo dal Pacific Institute, un gruppo di ricerca con sede a Oakland, ha rilevato che il cambiamento climatico sta «inequivocabilmente peggiorando» le condizioni che contribuiscono alle guerre e aggravano la sofferenza umana. Lo studio ha evidenziato che le cosiddette guerre dell’acqua sono aumentate notevolmente negli ultimi 20 anni, soprattutto nelle regioni in cui le condizioni di siccità hanno reso più aspra la competizione per l’accaparramento di risorse in continua diminuzione: Medio Oriente, Asia meridionale e Africa subsahariana. L’esplosione del gasdotto Nord Stream può essere considerato un chiaro esempio di questo trend: l’accesso alle risorse viene limitato ‒ o rischia di essere limitato ‒ per incutere timore e ottenere un vantaggio sui rivali in un conflitto molto più ampio.

La Russia è già stata accusata di usare la sua influenza sul mercato energetico europeo per intimidire altri Paesi. Il Turkmenistan, ad esempio, ha incolpato la Russia di aver fatto esplodere un gasdotto nel suo Paese nel 2009 per ottenere vantaggi economici. L’estate scorsa, durante la guerra in corso contro l’Ucraina, le truppe russe hanno occupato la centrale nucleare ucraina di Zaporižžja , aumentando notevolmente il rischio di incidenti.

Il rapporto che lega Mosca ai Paesi europei attraverso il gas è del resto noto. La Russia ricava gran parte del suo reddito dall’esportazione di combustibili fossili e le nazioni dell’Europa occidentale dipendono da questi combustibili per riscaldare le loro case e alimentare le loro reti elettriche. Questo rapporto non è stato finora privo di tensioni, alimentate in parte dagli effetti finanziari e politici impliciti nell’attuazione dei piani europei per il passaggio alle energie rinnovabili, in parte dal progressivo ampliamento dell’ambito di interesse della NATO, una coalizione di difesa globale che la Russia vede da tempo come una minaccia militare ai suoi interessi. Gli analisti politici ritengono che queste dinamiche siano state tra le motivazioni principali alla base della decisione di Putin, a febbraio, di invadere l’Ucraina, di cui si stava ipotizzando una qualche forma di adesione alla NATO.

Sin dall’inizio della guerra in Ucraina si è generato un vero e proprio braccio di ferro sul gas tra i Paesi dell’Unione Europea e Mosca, con i primi che imponevano sanzioni sulle importazioni di carburante russo come punizione per l’aggressione a cui la Russia rispondeva limitando le forniture di gas naturale all’Europa occidentale attraverso i gasdotti Nord Stream e causando così una notevole sofferenza economica e un’inflazione globale già da record. Con l’interruzione delle forniture attraverso i gasdotti a poche settimane dall’inizio dell’inverno, un altro scenario si prospetta per gli europei: quello di un futuro senza gas russo.

Queste dinamiche rappresentano inoltre una seria minaccia anche per lo sforzo globale di contenere il cambiamento climatico. Tali cambiamenti geopolitici estremi incidono fortemente sull’utilizzo dei combustibili fossili e sulla volontà di intraprendere una decisa transizione energetica, rendendo quanto mai difficile promuovere la cooperazione tra le nazioni, nonostante la minaccia di un riscaldamento globale catastrofico entro la fine del secolo.

L’aggravarsi delle tensioni tra Europa occidentale e Russia, nonché tra Stati Uniti e Cina, sta già mettendo a rischio gli sforzi internazionali per ridurre le emissioni di gas serra nell’ambito dell’accordo di Parigi. Un rapporto pubblicato alla fine di settembre ha rilevato che solo 19 dei 193 Paesi firmatari dell’accordo sul clima hanno mantenuto la promessa fatta l’anno scorso di creare obiettivi più ambiziosi di riduzione delle emissioni. Questa constatazione, unita alla possibilità che la Russia abbia sabotato i propri oleodotti per mantenere il mondo dipendente dai combustibili fossili, non lascia presagire negoziati facili e senza intoppi ai prossimi Climate Talks della COP27.

Prevedendo queste sfide, i leader statunitensi ed europei stanno raddoppiando gli sforzi per attuare la transizione energetica a fonti rinnovabili in modo da ridurre la capacità della Russia di usare l’energia come strumento di pressione. Come ha affermato l’esperto americano di energie rinnovabili Scott Brown: «L’energia rinnovabile, come quella eolica e solare, non solo offre un maggiore controllo alle comunità e alle imprese locali» ma può anche «fornire resilienza rispetto all’impatto di guerre, disastri naturali e corruzione».

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Articolo pubblicato su Treccani: https://www.treccani.it/magazine/atlante/geopolitica/Le_perdite_gasdotti_Nord_Stream.html

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Stefano Cisternino

I am an environmental journalist and Junior Europroject Officer specialised in eco-education. I write about geopolitics and environmental issues