Non è solo maltempo: la connessione tra crisi climatica e ed eventi estremi

Stefano Cisternino
3 min readSep 21, 2022

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Il clima è cambiato e sta continuando a cambiare. Ultima testimonianza le alluvioni che hanno interessato gran parte del Centro Italia, in particolare Marche e Umbria. Non si può più parlare di temporali estivi o di maltempo, la soglia della crisi climatica è stata già varcata. Ma in che modo influiscono i cambiamenti climatici su questi eventi estremi? L’Italia (e non solo) è stata interessata nei mesi scorsi da temperature record: un caldo eccessivo che ha fatto alzare la temperatura del Mar Mediterraneo ‒ enorme magazzino per il calore in eccesso generato dai gas serra ‒, con gravi danni per la biodiversità marina e conseguenze su quanto accade in atmosfera. Il mare trasferisce all’atmosfera questo surplus di energia, che tende a riversarsi sul suolo attraverso fenomeni metereologici devastanti, intensi e sempre più frequenti. In questo caso, le Marche, a causa dell’orografia del territorio e delle particolari condizioni dell’atmosfera, sono state interessate da una forte stazionarietà dei temporali, che ha generato il pericoloso fenomeno dei temporali autorigeneranti, ossia un evento temporalesco che tende ad autoalimentarsi per via del contrasto tra due masse d’aria con caratteristiche termiche e igrometriche differenti: una più fresca ad alta quota e una caldo-umida presente alle basse quote, generando la condensazione di grandi quantità di vapore acqueo, le quali progressivamente accrescono le dimensioni della cella temporalesca, fino a generare fenomeni estremi e distruttivi.

In genere, la precipitazione media annua nelle Marche è di 800 millimetri sulla costa e 1.200 millimetri nelle zone interne. Con i temporali della scorsa settimana sono caduti 420 millimetri di pioggia in poche ore. Gi effetti delle piogge sono stati resi ancora più pericolosi dalla prolungata siccità che ha interessato il territorio: un terreno secco ha minore capacità di assorbire acqua piovana, portando ad un maggior rischio di inondazioni e allagamenti. Un rischio da non sottovalutare e che si sposa con quello legato al dissesto idrogeologico del nostro Paese. Secondo l’ultimo rapporto Dissesto idrogeologico in Italia: pericolosità e indicatori di rischio di Ispra, quasi il 94% dei Comuni è a rischio dissesto idrologico, un milione e 300 mila residenti abitano in zone a rischio frana e quasi 7 milioni vivono in zone soggette alle alluvioni. Gli esperti di tutto il mondo sono concordi nel ritenere che la miglior strategia d’azione in questa situazione critica sia da un lato la riduzione delle emissioni e dall’altro lo sviluppo di piani per la prevenzione e l’adattamento.

A tal riguardo, in Italia, dal 2010 ad oggi, si sono verificati 1.318 eventi estremi, tra cui: 516 allagamenti da piogge intense, 367 trombe d’aria, 123 esondazioni fluviali e 55 frane causate da piogge intense, ma tutto questo non sembra aver portato a grandi cambiamenti: l’Italia continua a rimanere l’unico grande Paese europeo senza un piano di adattamento al clima; il cosiddetto PNACC (Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici), elaborato nel 2017, rimane al più un simbolo privo di significato. Ma come si fa ad avere un miglioramento o una corretta applicazione del PNACC se ‒ alle soglie delle elezioni ‒ gran parte delle forze politiche considera marginale la crisi climatica, esprimendosi solo in funzione del voto? Il think tank Ecco, analizzando le proposte politiche legate al clima in vista del voto del 25 settembre, evidenzia che le politiche di adattamento sono un tema largamente ignorato (PD, Verdi-SI e Fd’I sono gli unici a parlare dell’aggiornamento del piano).

Se il cambiamento climatico e i fenomeni metereologici estremi risultano marginali nei programmi politici e non in grado di attrarre voto popolare, è bene evidenziare un tratto che lega tutti: la perdita economica che deriva dalla crisi climatica. Secondo i dati della Protezione civile e di Legambiente, ogni anno spendiamo 1,55 miliardi per la gestione delle emergenze, in un rapporto di 1 a 5 tra spese per la prevenzione e quelle per riparare i danni. Dal 1999 al 2019 sono stati 6.303 gli interventi avviati per mitigare il rischio idrogeologico in Italia, per un totale di circa di 6,6 miliardi di euro (Ispra, piattaforma Rendis), con una media di 330 milioni di euro l’anno. In altre parole, nell’ultimo decennio, l’Italia ha perso 20,3 miliardi di euro, per una media di circa 3 miliardi all’anno. Potrebbe bastare questo dato per spingere ad agire immediatamente.

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Link: https://www.treccani.it/magazine/atlante/societa/Non_solo_maltempo.html

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Stefano Cisternino

I am an environmental journalist and Junior Europroject Officer specialised in eco-education. I write about geopolitics and environmental issues