Vinum Vita Est: come il cambiamento climatico sta cambiando il settore vinicolo
Il vino, prodotto agricolo tra i più sensibili, non è esente dagli effetti dei cambiamenti climatici, che impongono ad intere società di cambiare drasticamente tradizioni e pratiche vecchie di secoli.
Un cambiamento trascurato negli anni
Già nel 2000, Gregory Jones e Robert Davis dell’American Journal of Enology and Viticulture, evidenziavano i rapidi cambiamenti delle viti nelle diverse fasi di germogliamento, fioritura, invaiatura e raccolta nella regione di Bordeaux in Francia, descrivendone la rapidità di crescita e la variazione nella qualità.
I produttori di vino non hanno considerato subito il cambiamento climatico come una minaccia per le loro produzioni: nel breve periodo, in molte regioni l’incremento delle temperature e della radiazione ha portato infatti a dei benefici diretti e immediati nella maturazione delle uve, mentre la riduzione della piovosità ha ridotto l’incidenza delle malattie fungine, soprattutto di quelle legate ai marciumi del grappolo.
Questi vantaggi illusori hanno costituito una pura applicazione della metafora della rana bollita del filosofo Noam Chomsky: i coltivatori “accecati” dai rapidi benefici nella produzione, hanno ignorato e accettato di buon grado il rapido mutare del clima, rendendosi conto troppo tardi del pericolo reale. Nel corso degli anni tuttavia , eventi meteorologici sempre più estremi hanno rafforzato questo processo comportando danni ingenti per il settore vinicolo. Non si possono dimenticare le gelate tardive in Italia nel corso del 2021 (con danni ingenti per l’Oltrepò pavese). Queste, secondo le stime dell’Organizzazione Internazionale della Vite e del Vino, hanno comportato una riduzione di 22 milioni di ettolitri nella produzione vinicola rispetto all’anno precedente.
In termini di quantità, si è trattato di una delle annate peggiori degli ultimi vent’anni. Il danno causato è stato determinato dalle forti oscillazioni nella temperatura. Le temperature elevate provocano infatti un anticipo nella ripresa vegetativa delle viti, rendendo i nuovi germogli vulnerabili nel caso in cui il termometro scenda, come accade, sotto lo zero.
Prospettive future
Gli indicatori più evidenti di questo rapido cambiamento sono le vendemmie anticipate e, su una più ampia scala, la migrazione dei vigneti a quote più alte e verso Nord, in aree del mondo dove fino a poco tempo fa sarebbe stato impensabile praticare viticoltura.
Secondo gli studi dell’INRA (Istituto Nazionale Francese della Ricerca Agronomica) del 2020, se entro il 2050 le temperature medie salissero ulteriormente di 2 gradi, si avrebbe una perdita critica delle regioni vitivinicole nel mondo di circa il 56 %. Nel caso peggiore, se entro il 2100 si raggiungesse un aumento di 4+ gradi, la perdita raggiungerebbe livelli tragici, ovvero dell’85 %. Il danno si focalizzerebbe nell’area mediterranea, nello specifico Italia e Spagna perderebbero rispettivamente il 68 % e 65 % delle loro aree climatiche idonee.
Per l’area pacifica, Stati Uniti, Australia e Nuova Zelanda potrebbero invece essere interessati da una progressiva espansione nell’area climaticamente adatta per quelle varietà vinicole a maturazione tardiva, con una crescita anche del 100 % (come nel caso degli Stati Uniti).
Gli effetti del cambiamento climatico, causando delle drastiche diminuzioni delle aree preposte alla produzione vinicola, potrebbero generare conflitti sulla effettiva destinazione d’uso del territorio agricolo, con ingenti ricadute sugli ecosistemi e sulle riserve di acqua dolce. Molti di questi effetti si stanno già verificando. Tra questi vi sono: (i) l’aumento della temperatura delle acque superficiali dei laghi e dei corsi d’acqua in tutta Europa, soprattutto quelli ad alta quota e latitudine; (ii) l’aumento della temperatura ipolimnetica dei grandi laghi profondi; (iii) la riduzione della copertura di ghiaccio dei laghi; e (iv) lo scioglimento dei ghiacciai montani e del permafrost, che provoca cambiamenti nei regimi di deflusso dei torrenti di montagna e il rilascio di soluti e inquinanti nelle acque superficiali.
In futuro è probabile che queste tendenze continuino ed è probabile che (i) si verifichino cambiamenti nel regime di flusso dei torrenti e dei fiumi associati ai previsti cambiamenti nella quantità, stagionalità, intensità e distribuzione delle precipitazioni, causando un aumento del trasporto di sedimenti e nutrienti a valle verso i laghi e la zona costiera; (ii) si verificheranno cambiamenti nelle dinamiche delle precipitazioni, dell’evaporazione e delle inondazioni che causeranno cambiamenti nei livelli dell’acqua, nella struttura dell’habitat e nei tempi di permanenza dell’acqua nelle zone umide; (iii) i piccoli corsi d’acqua intermittenti e i piccoli laghi nelle aree calde e secche potrebbero scomparire, mentre il flusso nei corsi d’acqua permanenti potrebbe diventare intermittente e i laghi potrebbero diventare più salini.
Questi cambiamenti ambientali comporteranno inoltre modifiche significative nella distribuzione delle specie nelle varie ecoregioni, una maggiore suscettibilità all’invasione di specie esotiche e una riduzione complessiva della biodiversità che potrebbe portare a una riduzione dei servizi ecosistemici. Le risposte del biota a questi cambiamenti sono meno prevedibili di quelle delle variabili chimiche o idrologiche e si prevede che agiranno in modo diverso nelle diverse ecoregioni. Questi progressivi cambiamenti mettono in discussione le principali direttive europee sulla qualità dell’acqua, sulle specie e gli habitat attualmente in vigore. Sono necessarie misure di adattamento che siano efficaci sia dal punto di vista ecologico che economico e che possano essere attuate a livello locale.
La migrazione verso Nord
La progressiva migrazione verso altitudini maggiori e a Nord aumenterebbe gli effetti del cambiamento climatico, a causa della conversione di ambienti naturali in aree produttive, “colonizzate” per la viticoltura. Se questo processo dovesse avvenire più rapidamente rispetto a quello della flora e della fauna spontanea, ci sarebbe un danno ecologico critico e di lungo periodo, con ricadute sulla qualità e sulla quantità dei vitigni e sul consumo sistemico (idrico e di risorse) del territorio.
Esemplare è il caso italiano del Piemonte: in pochi anni, i vigneti di Chardonnay e pinot nero, usati per lo spumante Alta Langa, si sono progressivamente spostati da 250 metri fino a 800–1000 al fine di preservare le loro caratteristiche organolettiche. In Europa, numerosi produttori di spumanti hanno cominciato ad investire in Svezia, Danimarca e Norvegia, aree che per ovvie ragioni non erano mai state considerate per la viticoltura, e nel Sud dell’Inghilterra (Nella regione costiera del Sussex, ad esempio, i terreni coltivati a vigneti sono aumentati di recente di circa il 150%). Al momento queste produzioni sono dedicate a vitigni particolarmente resistenti al freddo — come riesling, pinot nero, solaris, rondo e vidal — ma con il rapido evolversi del clima e con stime che parlano di aumenti di 6 gradi, non è improbabile immaginarsi un completo spostamento del settore vinicolo in queste aree geografiche.
Come cambierà il settore vinicolo
Gli effetti dei cambiamenti climatici sul vino non riguardano solo le piante in sé ma anche le modalità in cui l’uomo svolgerà il lavoro agricolo in futuro. Da un lato la produzione calerà notevolmente per via soprattutto della siccità, dall’altro il lavoro fra i filari diventerà proibitivo, soprattutto nelle fasce orarie più calde (in particolare nelle aree Europee meridionali).
Esposti alle alte temperature e a una radiazione solare diretta sempre più intensa, i grappoli vanno incontro a un’alterazione della loro composizione e a fenomeni di scottatura o sunburn, proprio come la nostra pelle sotto i raggi del sole. E con l’uva anche i vini cambiano: la concentrazione in zuccheri sempre più alta porta a vini con gradazioni alcoliche più elevate, mentre l’acidità decresce a discapito della freschezza. Questo è un parametro fondamentale soprattutto nei vini bianchi, rosati e spumanti, per i quali anche il quadro aromatico si sta modificando e allontanando da quello finora riconosciuto e apprezzato.
I vini del nord potrebbero diventare alcolici come quelli del sud mentre il meridione potrebbe diventare inospitale per la viticoltura.
Possibili soluzioni
Oggi i produttori di vino stanno trovando modi ingegnosi per combattere il cambiamento climatico.
Per esempio, alcuni produttori stanno riconsiderando la gestione della chioma, i tralicci e le tecniche di potatura. Numerosi coltivatori stanno installando “Cover crops” o colture di copertura per stabilizzare i loro suoli e rivoluzionando il modo in cui irrigano i loro campi per mitigare l’impatto dei deficit idrici. La chiave sarà un monitoraggio molto più sofisticato del nostro ambiente. Gli agricoltori più progressisti saranno aiutati da una migliore registrazione e dall’uso di software per analizzare le tendenze tra i vari appezzamenti di vigneto.
È fondamentale comprendere a fondo le capacità di adattamento delle diverse varietà viticole ai cambiamenti climatici, focalizzandosi principalmente sull’uva autoctona. Un’altra possibile soluzione potrebbe essere aumentare progressivamente la biodiversità dei vitigni, in modo da ridurre al minimo le perdite determinate da un innalzamento delle temperature di 2–4 gradi entro il 2100.
In parallelo ai produttori è necessario sensibilizzare i consumatori, convincendoli a provare nuove varietà, in modo da diversificare la produzione vinicola e aumentare la capacità di adattamento.
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